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Il prezzo della paura

marzo 2020

Data di pubblicazione
2 marzo 2020
Tempo di lettura
8 minuto/i di lettura

I periodi di panico sono l’immagine speculare dei periodi di forte dinamismo: si basano su realtà che vengono successivamente trasformate in aspettative estreme

Come interpretare l’improvvisa correzione dei mercati alla fine del mese di febbraio, quando fino a quel momento avevano resistito molto bene all’aggravarsi della crisi del Covid-19, e cosa fare in quanto investitori?

Questa crisi rappresenta una situazione inedita, un “cigno nero” non necessariamente nel senso di evento nefasto, bensì di evento senza precedenti sufficientemente paragonabili per trarne parecchi insegnamenti utili. Il virus si trasmette in modo decisamente molto facile e da parte di persone che non presentano necessariamente sintomi, il che ne rende il contenimento più difficile rispetto alla SARS o alla MERS. Una delle difficoltà è ovviamente costituita dal fatto che del virus si conosce ancora abbastanza poco. Tuttavia, il monitoraggio del numero di casi di infezione censiti, aspetto essenziale per gli epidemiologi, fornisce alcune indicazioni sull’andamento dell’epidemia.

[Carmignac's Note] Mars 2020

Ora, in Cina questo andamento è rapidamente passato dalla fase di diffusione esponenziale, tipica delle epidemie, alla fase successiva di rallentamento, sicuramente grazie alle misure draconiane adottate dalle autorità cinesi per affrontare il problema. Ciò ha consentito la buona tenuta dei mercati fino a metà febbraio. Ma dopo questa data sono stati i paesi al di fuori della Cina, considerata l’iniziale permeabilità delle frontiere cinesi e dei tempi di incubazione, a entrare nella prima fase di diffusione esponenziale, portando così lo spettro dell’epidemia nel cuore dei paesi occidentali.

La carica emotiva associata a questo tipo di rischio, quando inizia a concretizzarsi, è tangibilmente in grado di innescare forti reazioni di stress nell’opinione pubblica. Di conseguenza, quest’ultima a sua volta inizia a esercitare pressioni significative sui governi, così come sulle aziende, al fine di adottare misure di protezione straordinarie (chiusure di luoghi pubblici, cancellazione di eventi e trasferte, misure di isolamento, ecc.), indubbiamente utili per contenere la diffusione, ma devastanti per l’attività economica nel breve periodo. In altre parole, il panico sui mercati azionari rispecchia il timore del prezzo economico del Covid-19, a sua volta in gran parte determinato dalle precauzioni sanitarie adottate per contenere l’epidemia in modo efficace.

I periodi di panico sono l’immagine speculare dei periodi di forte dinamismo: si basano su realtà che vengono successivamente trasformate, per mezzo della psicologia collettiva di fronte all’ignoto, in aspettative estreme. Riteniamo utile rielaborare una sintesi del recente scenario prima di prevederne gli esiti.

Al contrario del 2008, questa crisi non rappresenta uno shock endogeno bensì esterno, e pertanto è lecito valutarla come un fenomeno transitorio, per quanto terribile possa essere

Un aspetto fondamentale è il fatto che questa crisi sanitaria rappresenta uno shock esterno, come nel caso degli attentati dell’11 settembre 2001 o della catastrofe di Fukushima nel 2011, e non uno shock endogeno come la crisi del credito del 2008, risultato di profondi squilibri economici la cui risoluzione è di per sé estremamente lunga e difficile. Di conseguenza, tranne nel caso che questa crisi sanitaria non degeneri in modo totalmente incontrollato, ci pare lecito valutarla come un fenomeno transitorio, per quanto terribile possa essere, ipotizzando sin d’ora lo scenario economico che ne deriverà e quali possano essere le ricadute sui mercati.

La crisi sanitaria si è manifestata in un contesto economico e finanziario particolare

Va rammentato che dall’ultimo trimestre del 2019 le principali Banche Centrali, Fed in primis, erano tornate a offrire ai mercati un mix monetario particolarmente esplosivo, costituito non solo da tassi d’interesse molto bassi ma anche dal massiccio ricorso alla creazione di moneta (acquisti di obbligazioni sui mercati in cambio di liquidità). Negli ultimi cinque mesi, queste dinamiche avevano portato i mercati a livelli storicamente elevati. Il rovescio della medaglia di questo straordinario attivismo è quello di rendere oggi la Fed riluttante a intensificare ulteriormente i propri sforzi e in modo più massiccio, sulla base di un messaggio di sostegno ai mercati che per qualche giorno hanno registrato un’inversione di tendenza. La prospettiva di alcuni tagli dei tassi sui Fed Fund è tornata attuale, ma non bisogna sopravvalutarne gli effetti su un’attività economica paralizzata dalla paura di un rischio di pandemia. Ciò ha determinato una turbolenza particolarmente brusca sui mercati azionari partendo dai picchi raggiunti, che renderà necessario premere per una ripresa di interventi monetari coordinati.

Sul fronte macroeconomico, all’inizio dell’anno gli indicatori anticipatori del ciclo economico globale indicavano una fase di stabilizzazione, se non addirittura di lieve ripresa dopo il forte rallentamento dei due anni precedenti, soprattutto nel settore manifatturiero. L’Europa nello specifico, per la sua natura più ciclica, avrebbe dovuto beneficiarne in modo particolare, e soprattutto i settori maggiormente legati alla domanda dell’universo emergente. Al momento, la grande apertura dell’Europa alla Cina la sta quindi penalizzando doppiamente: una frenata economica nell’immediato, provocata dallo shock in termini di domanda e offerta di un importante partner commerciale, e l’esposizione abbastanza diretta alla diffusione del virus cinese. Anche in caso di risoluzione del problema sanitario in tempi brevi, l’Europa si troverà, e in misura maggiore rispetto all’economia statunitense più solida, ostaggio dell’impulso che la Cina riuscirà a tornare a imprimere o meno alla propria economia.

Quale potenziale di ripresa economica in Cina?

Si dà già per assodato che per la Cina l’inizio dell’anno sia stato contrassegnato da un indebolimento molto significativo della propria economia. Si conosceranno i dati reali solo in un secondo tempo, se mai si conosceranno, ma non vi è dubbio che le misure radicali adottate per affrontare il rischio di diffusione abbiano penalizzato l’attività economica del primo trimestre, di cui una quota significativa nei settori dei servizi non potrà essere recuperata. Molte piccole imprese, in particolare, rimaste senza fatturato per lunghe settimane stanno sicuramente già affrontando problemi significativi di liquidità. Indubbiamente, sarà una delle priorità del governo cinese fornire un forte sostegno finanziario alle migliaia di PMI.

Ma c’è un’enorme differenza tra un piano di sostegno finanziario mirato e un piano di stimoli economici di vasta portata. A causa di forti restrizioni esterne (valuta, partite correnti) e interne (indebitamento, saldo di bilancio), di cui il governo cinese deve tenere conto, temiamo che in questa fase le misure di stimolo possano risultare abbastanza deludenti, con effetti trainanti sul ciclo economico globale decisamente meno efficaci rispetto al piano di stimoli messo in atto nel 2003 a seguito dell’epidemia di SARS. Al di là di alcuni mesi di forte rimbalzo “tecnico” dell’attività economica post crisi, se non altro attraverso la ricostituzione delle scorte e la realizzazione di investimenti differiti, riteniamo che il grafico della prossima ripresa economica assumerà più la forma a U che a V.

Il protrarsi dell’eccezione statunitense

A livello economico e finanziario, gli Stati Uniti si trovano in una posizione di duplice vantaggio: attualmente la loro economia è relativamente poco aperta alla Cina, e l’avversione al rischio innescata dalla crisi sanitaria ha determinato afflussi di capitali verso i titoli governativi statunitensi, che ancora oggi rappresentano beni rifugio fondamentali. Il loro rendimento decennale (il cui andamento è inversamente proporzionale a quello del prezzo), che alla fine dello scorso anno aveva iniziato ad aumentare, è sceso al minimo storico dell’1,15% il 29 febbraio. Il crollo dei tassi d’interesse rispecchia sicuramente anche la chiave di lettura fornita dai mercati, secondo cui questa crisi sanitaria potrebbe provocare inizialmente uno shock sulla domanda, quindi con un effetto deflazionistico, prima di minacciare l’attività economica con uno shock sull’offerta. Tuttavia, il calo dei rendimenti si sta ripercuotendo parzialmente sui tassi dei mutui ipotecari, consentendo quindi di mantenere condizioni finanziarie abbastanza favorevoli per i consumatori statunitensi nonostante il ribasso registrato dai mercati azionari e del credito. Sul mercato azionario, questo vantaggio dovrebbe anche giustificare il protrarsi della sovraperformance dei principali titoli growth statunitensi, determinata principalmente, da dieci anni a questa parte, dalla solidità dei loro business model in un contesto di scarsa crescita e di tassi d’interesse molto bassi.

Quali prospettive per i mercati?

Teoricamente i mercati finanziari possono sfuggire continuamente alle leggi sulla gravità: non esiste un limite ufficiale alla creazione di moneta da parte delle Banche Centrali, che fa aumentare il premio per il rischio sui mercati azionari. In pratica, tuttavia, non si possono ignorare gli effetti dell’assenza di gravità. L’apprezzamento record dei mercati azionari nel 2019 nonostante un “anno a vuoto”, durante il quale la crescita media dei risultati delle imprese quotate era stata quasi pari a zero, aveva determinato un indebolimento tecnico che in qualsiasi momento avrebbe potuto innescare scossoni di instabilità. La crisi del virus ha rappresentato un casus belli di intensità inaspettata.

Come già ribadito in precedenza, la Fed è riluttante ad allentare ulteriormente la propria politica monetaria nel breve periodo. Inoltre, il pericolo di uno shock di lunga durata sull’offerta, che potrebbe sovrapporsi allo shock sulla domanda, renderebbe necessarie soluzioni non solo monetarie ma anche fiscali. Quindi in un primo tempo è probabile che l’instabilità dei mercati si protragga, tanto più che l’andamento dell’epidemia al di fuori della Cina sarà ancora in fase di accelerazione, quella che genera maggiore ansia. In un secondo tempo dovrebbe ovviamente registrarsi un periodo di miglioramento, in concomitanza con il ritorno graduale della situazione sanitaria alla normalità. Tuttavia, in tempi brevi, la sfida principale sarà quella di implementare politiche monetarie e fiscali di rilievo, in grado di rimediare ai danni arrecati alla fiducia, alle catene di approvvigionamento e agli investimenti.

Un maggiore ricorso a contromisure fiscali non riscontra ancora il favore del consensus in Europa, è apparentemente limitato in Cina, ma non sembra spaventare nessuno dei candidati alle future elezioni presidenziali statunitensi. Di conseguenza, è probabilmente negli Stati Uniti che si possono prevedere interventi più rapidi abbinati a un nuovo sostegno monetario. Un simile scenario, di cui bisognerà monitorare l’eventuale realizzazione, potrebbe concretizzarsi forse al prezzo di un forte indebolimento del dollaro statunitense.

È nella natura umana cercare riparo dopo la tempesta, rimpiangendo di non averlo fatto prima. Tuttavia, se la crisi sanitaria dovesse assumere l’aspetto previsto di uno shock transitorio, allora riteniamo che al momento una strategia adeguata a questa prospettiva possa essere piuttosto quella di mantenere un tasso di esposizione azionaria moderato, corretta in modo attivo quanto meno per ammortizzare l’impatto derivante dall’instabilità dei mercati, ma soprattutto essere sicuri della qualità e della solidità della crescita degli utili dei titoli in portafoglio in tutti gli scenari. A tale proposito, va sottolineato che non solo negli Stati Uniti ma anche in Cina sono presenti molti titoli di questo tipo nei settori healthcare, delle biotecnologie, dei consumi connessi e delle tecnologie in generale, le cui valutazioni sono improvvisamente diventate particolarmente accettabili. Sul fronte obbligazionario, anche la duration modificata sui tassi d’interesse dovrà essere moderata ma gestita in modo attivo, dati i bassi rendimenti raggiunti.

Per quanto riguarda il segmento del credito, potrebbero registrarsi fasi di turbolenza che creerebbero opportunità di arbitraggio redditizie. Infine, è già giustificabile un posizionamento in asset legati al prezzo dell’oro, che potrà salvaguardare i portafogli in caso di deprezzamento del valore intrinseco del dollaro.

David Older

La nostra preferenza strategica per le azioni growth non è affatto una formula di rito priva di significato e consensuale

Per quanto riguarda il segmento del credito, potrebbero registrarsi fasi di turbolenza che creerebbero opportunità di arbitraggio redditizie. Infine, è già giustificabile un posizionamento in asset legati al prezzo dell’oro, che potrà salvaguardare i portafogli in caso di deprezzamento del valore intrinseco del dollaro.

Fonte: Carmignac, Bloomberg, 29/02/2020

Strategia di investimento
Azioni

I mercati azionari, in preda al panico, hanno subìto forti scossoni nelle ultime settimane, con preoccupazioni per l’epidemia cinese che potrebbero trasformarsi in timori di pandemia.

I movimenti sono stati particolarmente bruschi e improvvisi; l’indice VIX, che rispecchia le aspettative di movimenti giornalieri sui mercati azionari nelle prossime settimane, ha raggiunto livelli particolarmente elevati. L’intensità dei movimenti di mercato è stata accentuata dalle valutazioni elevate degli indici azionari e da un posizionamento di mercato piuttosto aggressivo.

In questo contesto di mercato fortemente volatile, considerata l’elevata incertezza delle prospettive di crescita e l’incognita rappresentata dal ritardo verso un’eventuale ripresa dell’attività economica, riteniamo importante concentrare gli investimenti azionari in società che offrano la massima visibilità evitando quelle più indebitate, considerate le pressioni che l’interruzione dell’attività, anche estemporanea, potrebbe esercitare sulla liquidità di qualcuna di queste.

Inoltre, riteniamo che la tipologia di soluzione a questo shock esogeno possa essere innanzitutto fornita da politiche monetarie ancora più accomodanti, piuttosto che da politiche fiscali più permissive; qualora si manifestasse, questa nuova fase dovrebbe inoltre sostenere la performance relativa dei titoli azionari cosiddetti a crescita tangibile.

Inoltre, una solida struttura di portafoglio costituita da società prospere, che offrano buona visibilità sulla crescita attraverso il ciclo economico, ci pare la strategia più adatta per operare nel contesto prevalente di instabilità del mercato, in combinazione con la gestione attiva dell’esposizione azionaria.

Di riflesso al pericolo che questo nuovo ceppo di coronavirus rappresenta per il ciclo economico, anche il calo dei tassi di interesse si è accentuato intensificando maggiormente un fenomeno che dura da diversi anni. Infatti, mentre i rendimenti a lunga scadenza hanno toccato il minimo storico, i mercati hanno comunque ampiamente anticipato l’intervento delle Banche Centrali, e scontano già diversi tagli ai tassi d’interesse a partire dalle prossime settimane. Questa situazione ci ha indotti a optare per una gestione tattica dell’esposizione ai titoli governativi core, considerati dagli investitori come beni rifugio, aumentando gradualmente la duration modificata del debito tedesco e di quello statunitense nel corso del periodo; continueremo inoltre a operare in tal senso dato che, come spesso accade, i mercati dei tassi d’interesse hanno reagito con largo anticipo. All’interno dei mercati del debito sovrano non core abbiamo gradualmente ridotto le esposizioni al debito cosiddetto periferico approfittando del calo dei tassi.

I mercati del credito, che fino a quel momento erano stati abbastanza tutelati, hanno iniziato a registrare un deterioramento degli spread; in questo contesto continuiamo a concentrare gli investimenti in emittenti e in emissioni specifici e restiamo generalmente cauti nei confronti del rischio di mercato nel suo complesso. Lo stesso vale sui mercati del debito emergente, dove l’aumento del premio per il rischio dall’inizio dell’anno è stato complessivamente compensato dal calo dei rendimenti, con gli indici del debito emergente sovrano e del credito che hanno registrato performance positive e che li hanno resi potenzialmente vulnerabili.

Dall’inizio dell’anno gli afflussi degli investitori esteri verso gli asset statunitensi hanno sostenuto il dollaro. Il grado di interesse esercitato dai titoli governativi degli Stati Uniti, grazie al loro status di asset rifugio e alle dinamiche economiche del paese, ha mantenuto una pressione al rialzo sulla valuta.

A nostro avviso, queste dinamiche potrebbero subire cambiamenti nei prossimi mesi. Da un lato i rendimenti delle obbligazioni statunitensi sono già notevolmente diminuiti, rendendole relativamente meno interessanti. Dall’altro lato, la Federal Reserve statunitense è la Banca Centrale che dispone di maggiori contromisure per attuare una politica monetaria accomodante. Ciò potrebbe consentirle un margine di azione maggiore rispetto alle Banche Centrali europee e asiatiche, indebolendo il dollaro in modo indiretto.

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