Gennaio 2017
Come avevamo illustrato il mese scorso (“Si alza il vento”, dicembre 2016), il ciclo economico globale, che nel primo trimestre del 2016 aveva raggiunto un livello minimo, si è gradualmente rafforzato durante l’anno, e ultimamente, nel mese di novembre, è stato sostenuto in modo evidente dall’inattesa elezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti. L’inizio del 2017 si presenta quindi sotto questi auspici, e per il momento giustifica la performance ancora positiva dei mercati azionari, trainati dai settori ciclici. Anziché temere l’ennesima delusione a causa della crescita, o focalizzarsi sui numerosi rischi politici in Europa, già menzionati in più occasioni, forse a questo punto bisognerebbe chiedersi definitivamente quali siano le implicazioni di questa accelerazione del ciclo economico. Infatti alla ripresa economica fanno seguito due corollari importanti, già messi in evidenza: la ripresa dell’inflazione, anch’essa ciclica, e l’apprezzamento del dollaro.
Bisogna chiedersi quali siano le implicazioni dell’accelerazione del ciclo economico
A forza di desiderare una conferma del miglioramento delle prospettive economiche, i mercati potrebbero quasi dimenticare di valutarne le ripercussioni sulla fragilità dei mercati obbligazionari, e di conseguenza sulle valutazioni dei mercati azionari. Ciò sarebbe davvero poco saggio.
Abbiamo spesso sottolineato che uno degli errori più frequenti degli analisti è quello di confondere tendenze strutturali e movimenti ciclici. L’enorme accumulo di debito a livello mondiale, così come la mancanza di investimenti pubblici e privati da otto anni a questa parte, costringono la crescita potenziale globale e l’inflazione sul lungo termine a restare deboli. Tuttavia questo orientamento strutturale non pregiudica affatto i movimenti ciclici intermedi. Al contrario, la riduzione dei margini di manovra dei governi e delle Banche Centrali limita la loro capacità di ammortizzare e orientare strategicamente le oscillazioni cicliche, che possono pertanto essere più brusche. È quindi probabile che ci troviamo all’inizio di un simile movimento.
Come avevamo ribadito a novembre, bisogna interpretare la vittoria elettorale di Donald Trump come un catalizzatore del ciclo. È infatti già evidente che l’economia statunitense sta ritrovando il suo dinamismo. L’indice della fiducia dei consumatori ha appena raggiunto il livello più elevato dal 2007, ben oltre ciò che la maggior parte degli economisti aveva previsto. Anche le imprese stanno reagendo in modo positivo all’esito delle elezioni: in base ai primi dati statistici pubblicati dopo lo scrutinio elettorale, per la prima volta dal 2015 la crescita degli ordini di beni durevoli torna ad essere positiva (+1,8% nel mese di novembre). La ripresa è comunque abbastanza globale: in Giappone prosegue la ripresa ciclica della produzione industriale, che si è attestata al 9% a novembre, il tasso più alto registrato in 30 mesi. In Europa, la produzione industriale continua a crescere lentamente, ma l’indice IFO che misura la fiducia delle aziende in Germania è in ripresa, e ormai ha raggiunto il livello registrato all’inizio del 2014. Il miglioramento congiunturale è quindi tangibile, e questo anche prima dell’attuazione delle misure di stimolo fiscale promesse da Donald Trump. Pertanto la rotazione settoriale, che ha avuto inizio nel primo trimestre del 2016 sui mercati azionari, può proseguire regolarmente.
Il primo corollario di questa inversione di tendenza dell’economia globale da circa un anno, è la ripresa graduale del tasso di inflazione. Il precedente rallentamento economico si era verificato in concomitanza con l’apprezzamento del dollaro, dalla metà del 2014 al 2015, a cui avevano fatto seguito un forte calo del prezzo delle materie prime e il crollo del prezzo del petrolio. Tutto ciò aveva pertanto temporaneamente rafforzato le tendenze deflazionistiche strutturali. Il fenomeno ciclico ha ormai subito un’inversione di tendenza: il deprezzamento del dollaro ha reso possibile una forte ripresa del prezzo del petrolio e il successivo miglioramento economico nel 2016. Questo sviluppo ciclico positivo è accompagnato quindi dalla ricomparsa di segnali di ripresa dell’inflazione, partendo da livelli molto bassi.
A nostro avviso, negli Stati Uniti il tasso di inflazione nominale potrebbe facilmente superare il 2,5% nel primo semestre del 2017, ancora prima di prendere in considerazione eventuali successive pressioni sui salari. In Cina il tasso annuale dell’aumento dei prezzi alla produzione è cresciuto da -6% a +3% negli ultimi dodici mesi. Nell’Eurozona è aumentato da -4% ad aprile 2016 allo 0% alla fine dell’anno. Nonostante non si tratti ancora di inflazione, l’effetto base è quindi significativo anche in Europa, e questa inversione di tendenza è importante per i mercati, che con un certo ritardo dovrebbe alimentare lo stesso orientamento sui prezzi al consumo. In Giappone il tasso di inflazione continua a essere molto basso ma, dopo aver registrato continui cali dalla metà del 2014 fino a registrare valori negativi lo scorso anno, ha recentemente evidenziato una ripresa per la prima volta nel quarto trimestre del 2016.
Il protrarsi di politiche estremamente accomodanti da parte delle principali Banche Centrali ha rinviato fino ad oggi la correzione dei mercati obbligazionari rispetto alla ripresa delle pressioni sulle valorizzazioni. I rendimenti dei titoli governativi tedeschi, che si avvicinano allo 0,30%, sono ancora lontani dai livelli dell’inizio del 2015. Dopo il recente apprezzamento, anche i rendimenti dei titoli governativi statunitensi restano a livelli inferiori a quelli registrati a metà del 2014. Questa ripresa congiunturale, in combinazione con la ripresa dell’inflazione, nei prossimi mesi probabilmente metterà duramente alla prova la fiducia dei mercati nella determinazione delle Banche Centrali a mantenere i tassi di interesse prossimi alla loro soglia minima. È questo il principale rischio di mercato che bisogna essere pronti a gestire nel 2017.
Come avevamo ribadito lo scorso dicembre « bisogna considerare l’accelerazione dei flussi di capitale verso gli Stati Uniti come una forza potenzialmente molto intensa a sostegno del dollaro ». Un raffronto con il rialzo del dollaro dopo l’elezione di Ronald Reagan nel 1980 sarebbe eccessivo. Il contesto era molto diverso. Tuttavia può essere utile esaminare ciò che è accaduto più recentemente, a seguito dell’entrata in vigore dell’Homeland Investment Act, una legge approvata nel 2004 sotto la Presidenza di George W. Bush. Questa misura prevedeva incentivi fiscali sul rimpatrio degli investimenti all’estero, e nel 2005 determinò afflussi di capitali in entrata nell’ordine di 300 miliardi di dollari. La conseguenza principale fu un rialzo annuale del 15% del dollaro (nonostante una parte considerevole del denaro rimpatriato fosse già in dollari). Dopo il recente apprezzamento, sarebbe certamente legittimo che il dollaro si concedesse una pausa. Tuttavia il graduale inasprimento della politica monetaria della Fed e la riduzione del disavanzo delle partite correnti degli Stati Uniti potrebbero poi innescare un’accelerazione del dollaro, in particolare rispetto alla sterlina inglese e allo yen, che sono molto deboli.
A causa della fragilità dei mercati obbligazionari, la ripresa ciclica potrebbe auto bloccarsi
È certamente possibile che l’estremismo del piano di rilancio economico proposto da Donald Trump sia ampiamente ridimensionato dal Congresso. Non è nemmeno escluso che le sue promesse protezionistiche penalizzino l’attività commerciale mondiale. Per quanto riguarda l’Europa, l’aumento del rischio politico è giustamente un argomento di cui tutti parlano. Tuttavia, paradossalmente, focalizzarsi su questi rischi fa perdere di vista ciò che è importante per i mercati: la ripresa economica è a livello globale, e va ben oltre l’effetto Trump. Ciò giustifica l’andamento dei mercati azionari da tre mesi a questa parte, ma è puramente ciclico, e considerato che da anni le Banche Centrali hanno forzatamente ancorato i tassi di interesse alla soglia minima, potrebbe auto bloccarsi nel corso dell’anno. Infatti, forti tensioni sui mercati obbligazionari, a maggior ragione se associate a un apprezzamento del dollaro, determinerebbero un inasprimento delle condizioni finanziarie con un forte impatto sull’economia statunitense, proprio nel momento in cui la ripresa economica dovesse iniziare a mostrare i primi segni di rallentamento. Pertanto i mercati azionari, dopo avere inizialmente continuato a beneficiare della ripresa ciclica in corso, dovranno affrontare la difficile correzione delle altre asset class di fronte a questa nuova situazione.
Il potere delle Banche Centrali sta svanendo, il controllo sui cicli economici torna nuovamente ai mercati, e con esso la gestione attiva dei portafogli.
In questa prospettiva, vi auguriamo un 2017 prospero e dinamico.
Fonte : Bloomberg, 04/01/2017