Carmignac’s Note
L’evento che ha destato maggiore sorpresa negli ultimi trimestri è stato sicuramente la resilienza dell’economia statunitense. Come ha potuto resistere con tanta fermezza allo shock di 500 punti base di aumento dei tassi di riferimento applicati dalla Banca Centrale statunitense in soli diciassette mesi?
Avevamo individuato con chiarezza i principali fattori alla base di questa possibile capacità di resistenza: il notevole eccesso di risparmi accumulati durante la pandemia, i quali sono stati in grado di sostenere fortemente i consumi, l’effetto ricchezza rafforzato dal buon andamento degli asset finanziari e immobiliarie gli aumenti dei salari che hanno consentito gradualmente alle famiglie di far fronte all’inflazione. Ad ogni modo, come molti altri, abbiamo dovuto rinviare di trimestre in trimestre la data presunta di inizio del rallentamento dell’economia statunitense, di cui siamo ancora in attesa.
Questo rallentamento, che non si è ancora manifestato, si è tradotto in un aumento dei rendimenti obbligazionari statunitensi ed europei ai livelli massimi del ciclo economico iniziato a marzo 2020, mentre paradossalmente l’inflazione statunitense complessiva è passata dal 9% al 3,2% da giugno 2022 allo scorso luglio. La pressione sui rendimenti a lungo termine ha finito per indebolire i mercati azionari: mentre alla fine del mese di luglio si sono attestati ai massimi su base annua, nel corso del mese di agosto hanno registrato un calo compreso tra il 5% e il 9%.
Non dovremmo piuttosto sperare che nei prossimi mesi si verifichi una “disinflazione immacolata”, ovvero in una disinflazione resa possibile dai rialzi dei tassi che non causi una recessione?
Per rispondere a questa domanda è innanzitutto necessario chiedersi se la divergenza rilevata tra inflazione e tassi di interesse sia normale. Le nostre ricerche mostrano in modo inequivocabile che durante l’ultimo lungo periodo di inflazione (1965-1980) i tassi di interesse hanno iniziato a diminuire dopo l’inflazione con un ritardo compreso tra sei e diciotto mesi, mentre le inversioni di tendenza al rialzo dell’inflazione sono state sistematicamente precedute da quelle dei tassi di interesse. Durante questo lungo periodo di inflazione, che ha registrato un andamento a ondate, i mercati obbligazionari hanno previsto in modo corretto il persistere dell’inflazione. Questo è il motivo per cui si sono apprezzati più a lungo rispetto all’inflazione e hanno registrato ribassi per periodi più ridotti rispetto all’inflazione.
La relazione osservata negli ultimi trimestri tra i prezzi e i rendimenti obbligazionari, in ritardo rispetto alla flessione dell’inflazione, diventa quindi “normale” nel momento in cui si deve riconoscere l’eventualità di pressioni inflazionistiche persistenti.
Tuttavia, non esclude la possibilità di un imminente calo dei rendimenti obbligazionari, a condizione che non venga messa in discussione la credibilità delle Banche Centrali nella loro lotta contro l’inflazione.
Detto questo, è poi essenziale ascoltare l’opinione dei bravi economisti. Il loro messaggio è chiaro: le pressioni sul mercato del lavoro e la possibilità di un prossimo e imminente rimbalzo dell’attività manifatturiera negli Stati Uniti indurranno la Fed a mantenere elevati i tassi di interesse di riferimento il più a lungo possibile, determinando alla fine il rallentamento atteso. Infatti, il risparmio in eccesso si sta sciogliendo come neve al sole e offre al consumatore un margine di salvezza sempre meno corposo, che ha ampiamente sostenuto l’economia. Analogamente, gli effetti della stretta monetaria si ripercuotono sull’economia sempre con un certo ritardo. In questo caso, l’inasprimento monetario è stato così concentrato nel tempo che gran parte dell’impatto inizierà probabilmente a concretizzarsi solo adesso.
In questo momento, è quindi prevedibile che il mese di agosto sia stato quello in cui i tassi di interesse hanno superato l’inflazione core (che esclude i generi alimentari e l’energia) per la prima volta da marzo 2021. Inoltre, poiché la componente stagionale resta favorevole al protrarsi della riduzione dell’aumento dei prezzi, è possibile auspicare un ritorno graduale dei rendimenti decennali statunitensi al 3,5%, rispetto al 4,36% dei livelli massimi di agosto.
Con queste premesse, non vi sono ragioni particolari per poter prevedere un ampliamento della recente correzione dei mercati azionari ma, al contrario, molti motivi per ritenere che gli investimenti obbligazionari contribuiranno al buon andamento dei nostri portafogli. I titoli growth che presentano buona visibilità, e la cui qualità è alla base delle valutazioni elevate sui mercati grazie al calo dei tassi di interesse a lungo termine, continueranno ad apprezzarsi.
Come per molti di noi, i mercati si sono presi una pausa ad agosto. Sembrano desiderosi di mostrare il loro nuovo dinamismo in vista della ripresa dell’attività. Manteniamo, tuttavia, un livello elevato di attenzione: i tassi di interesse ci stanno forse indicando che l’idra inflazionistica non è stata annientata. Sarà allora nostro compito riorientare tempestivamente parte dei nostri investimenti verso gli asset che hanno maggiore probabilità di resistenza. Il ritorno del ciclo economico richiede flessibilità.
Bentornati!