A fine estate, in un contesto di buona tenuta dei mercati azionari, due aspetti meritano particolare attenzione da parte degli investitori. Il primo riguarda il recente inasprimento del quadro normativo in Cina. Il secondo, altrettanto importante per i mercati azionari, è quello relativo al futuro andamento dei rendimenti obbligazionari.
Il recente intervento in termini normativi, rivolto in particolare a determinati segmenti della “new economy” cinese, è nettamente più restrittivo rispetto ai precedenti del 2015 e del 2018. In breve tempo ha coinvolto diversi sottosettori della “new economy” cinese, con l’obiettivo di correggere in modo duraturo un certo numero di eccessi (posizioni dominanti, disuguaglianze), il cui impatto sulle valutazioni è stato significativo. Tuttavia, dobbiamo aspettarci che in nome dell’obiettivo della prosperità comune o in quello della rivalità strategica tra Stati Uniti e Cina in ambito tecnologico, le autorità di Pechino possano indebolire permanentemente i colossi di internet, ostacolando la proprietà privata e le strutture giuridiche (“entità a interesse variabile”), istituite per consentire alle società cinesi di quotarsi all’estero? Riteniamo che non sia così.
Questa logica sarebbe in totale contraddizione con la volontà strategica e necessaria di aprire gradualmente i mercati finanziari cinesi. Istituito alcuni anni fa, lo “stock-connect » tra Hong Kong e le Borse cinesi ad oggi è riuscito a creare un flusso continuo di investimenti finanziari verso la Cina, segnando quindi un passo decisivo nell’apertura dei mercati cinesi. Questa logica sarebbe inoltre in contraddizione con l’obiettivo a lungo termine di fare dello yuan una delle valute di riserva internazionale.
Inoltre, la Commissione centrale finanziaria e degli affari economici della Cina (Central Financial and Economic Affairs) ha appena chiarito gli obiettivi sociali del Partito, insistendo sull’aspetto graduale dei cambiamenti e sull’intenzione di mantenere una situazione che favorisca il buono stato di salute del settore privato in Cina. Allo stesso tempo, una serie di dichiarazioni delle autorità cinesi negli ultimi giorni ha confermato l’importanza rivestita dalla piazza finanziaria di Hong Kong per la Cina, sottolineando l’intenzione di quest’ultima di non volere bloccare le quotazioni presso le Borse statunitensi.
Considerato il carattere restrittivo dell’attuale intervento a livello normativo, è necessario quanto meno iniziare a prendere in considerazione un rischio politico cinese permanentemente più alto nei modelli di valutazione delle società cinesi? Attualmente non lo riteniamo plausibile.
La maggior parte delle misure annunciate si conferma in linea con gli obiettivi e le ambizioni politiche di lungo periodo del Partito comunista cinese. Per quanto aggressiva, la decisione delle autorità cinesi di contrastare i sempre più clamorosi effetti nefasti sulla società civile, derivanti dalle posizioni dominanti conquistate da alcune società leader della “new economy”, in nome della prosperità comune, non differisce per sua natura in modo sostanziale dai timori espressi frequentemente nelle economie occidentali. Allo stesso modo, il problema delle crescenti disuguaglianze tra le opportunità di successo offerte ai bambini, che non è prerogativa esclusiva della Cina, si era manifestata nel settore dell’istruzione, attraverso costi esorbitanti del doposcuola o nell’impennata dei prezzi degli immobili nelle zone adiacenti alle scuole prestigiose. Nel settore delle consegne dei pasti a domicilio, la precarietà del lavoro di milioni di fattorini indipendenti era diventata un problema sociale, solo per citare alcuni esempi.
Riteniamo che la Cina resti un mercato in cui si possa sicuramente continuare a investire
L’attuale ondata di misure normative, che prendono di mira alcune società della “new economy“ cinese, ha innescato una forte divergenza nel loro andamento sui mercati azionari, come nel caso dei titoli tecnologici statunitensi (l’indice Nasdaq Golden Dragon China, che raggruppa un certo numero di aziende leader appartenenti al settore tecnologico cinese, è calato del 27% nei primi otto mesi dell’anno, mentre l’indice Nasdaq Composite si è apprezzato del 18% durante lo stesso periodo). Ha inoltre innescato la correzione di alcuni segmenti dei titoli quotati cinesi, che non erano stati direttamente colpiti dalle nuove misure. Ad esempio, per effetto domino anche le società che forniscono le infrastrutture necessarie agli operatori di internet, quelle ad esempio che operano nell’ambito della tecnologia cloud o dei data center, hanno perso gran parte della loro capitalizzazione di mercato. Di conseguenza, molte aziende stanno attualmente registrando valutazioni molto interessanti rispetto ai multipli storici e alle aziende statunitensi concorrenti.
Per tutti questi motivi, riteniamo che la Cina resti un mercato in cui si possa sicuramente continuare a investire, a patto di avere un posizionamento selettivo. Manteniamo quindi le nostre convinzioni rispetto alla selezione dei titoli della “new economy” cinese. Il nostro approccio resta basato sull’identificazioni di società che presentano forte potenziale di crescita, ben gestite e con bilanci in buono stato di salute, favorite da trend visibili e di lungo periodo. Infine, considerando la rapidità e il recente andamento degli annunci, ci sembra sempre più plausibile ritenere che la visibilità sul nuovo quadro normativo possa migliorare gradualmente. Ciò consentirà agli investitori di iniziare a integrare le nuove informazioni nelle valutazioni, e di valutare in modo indipendente il livello di interesse offerto da queste aziende.
In linea con il nostro scenario di riferimento, che prevede un futuro rallentamento ciclico illustrato nella nostra ultima Note di luglio intitolata « L’inesorabile realtà del ciclo economico », i rendimenti sui mercati obbligazionari sono tornati a registrare un trend al ribasso dall’inizio dell’estate. Per i prossimi mesi, è quindi necessario continuare a posizionarsi sul calo dei rendimenti? Non ne siamo convinti.
La ripresa prevista sul mercato del lavoro potrebbe infine determinare un aumento significativo dei salari, in particolare per le posizioni lavorative poco qualificate. Inoltre, alcune componenti nel calcolo dei dati mensili sull’inflazione, come gli affitti (che rappresentano il 40% del paniere), dovrebbero subentrare agli aumenti dei prezzi dovuti alle turbolenze nelle catene di approvvigionamento, innescando quindi un aumento più duraturo dell’inflazione.
La Fed potrebbe trovarsi a dover affrontare una sorta di “stagflazione 2.0”
La Fed sembra avviata sul cammino della normalizzazione della politica monetaria, ma in modo molto graduale. Il suo principale indicatore, il mercato del lavoro, inizia a mostrare segnali di tensione, anche se la variante Delta resta un fattore di allerta non trascurabile. Dopo il vertice di Jackson Hole, si sta delineando l’avvio della riduzione del quantitative easing entro la fine dell’anno, probabilmente per il mese di dicembre. La situazione resta comunque critica per la Fed. La riduzione del sostegno fiscale nel 2022 contribuirà probabilmente al rallentamento dell’economica statunitense. Il suo tasso di crescita dovrebbe tuttavia mantenersi ampiamente superiore al potenziale, continuando quindi a innescare pressioni sui prezzi. Di conseguenza, la Fed potrebbe trovarsi a dover affrontare una sorta di “stagflazione 2.0”, ovvero di rallentamento economico accompagnato da un aumento delle aspettative di inflazione; un mix che renderebbe particolarmente difficile definire una politica monetaria ottimale.
Le prospettive di sostegno fiscale dell’Amministrazione Biden restano incerte. Di recente sono stati apparentemente compiuti progressi significativi nelle modalità di attuazione dei prossimi piani di sostegno. Tuttavia, quello di voler far approvare due massicci piani di sostegno in pochi mesi prima delle elezioni di medio termine del 2022, ovvero un piano di infrastrutture fisiche “bipartisan” e un altro piano di “infrastrutture umane”, resta un obiettivo molto temerario per l’Amministrazione Biden. Riteniamo che difficilmente la visibilità su questi piani di sostegno possa migliorare prima del mese di ottobre, come minimo.
In Europa, la situazione si conferma meno grave che negli Stati Uniti. Le aspettative di inflazione, attualmente troppo basse rispetto all’obiettivo della Banca Centrale Europea, resteranno al centro delle ipotesi di programma. Il dibattito sull’estensione del programma attuale (PEPP), al momento previsto fino a marzo del 2022, è confermato, in contrapposizione allo scenario di ritorno automatico al piano di acquisti precedente (APP). Questa politica monetaria più accomodante di quella attuata negli Stati Uniti ci consente di esporre i portafogli a una maggior duration modificata obbligazionaria in Europa, pur restando fortemente selettivi.
Per tutti questi motivi, riteniamo che un posizionamento nettamente direzionale sui mercati obbligazionari sia prematuro in questa fase. La nostra gestione dei mercati obbligazionari resta quindi prudente e flessibile.
Pertanto, una fiducia cieca nelle future decisioni di politica monetaria ci sembra attualmente ingiustificata tanto quanto l’eccessiva diffidenza nei confronti della Cina. Nell’ambito della gestione obbligazionaria, manteniamo grande prudenza e siamo pronti ad adattarci all’andamento del contesto monetario e fiscale. Sul fronte della gestione azionaria, manteniamo la sovraponderazione dei titoli growth resilienti a uno scenario di crescita economica potenzialmente deludente, e conserviamo accuratamente le posizioni in Cina su una selezione di titoli ad altissimo potenziale, le cui quotazioni sono tornate a essere particolarmente interessanti negli ultimi tempi.