Carmignac's Note
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Stati Uniti, la disinflazione si sta delineando ma richiede tempo
Dopo avere aumentato i propri tassi di interesse dallo 0% al 3,25% dal mese di febbraio, la Federal Reserve statunitense (Fed) sta iniziando a intravedere i primi effetti delle sue misure coercitive contro l’inflazione. Tuttavia bisogna fare attenzione, ci vorrà del tempo affinché l’aumento dei prezzi registri un rallentamento.
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Benché negli Stati Uniti il mercato immobiliare stia registrando un’inversione di tendenza di rara intensità, come illustrato nel grafico, la flessione interessa i prezzi delle abitazioni e non gli affitti, che rappresentano la componente più importante dell’indice dei prezzi al consumo. Tuttavia, gli affitti reagiscono normalmente con due o tre trimestri di ritardo alle variazioni dei prezzi degli immobili, poiché quando.
l’acquisto di un’abitazione diventa impossibile a causa di prezzi o di tassi di interesse troppo alti, la locazione diventa l’unica alternativa all’acquisto, e ciò fa aumentare gli affitti.
Un altro driver dell’inflazione è rappresentato dal mercato del lavoro. Quest’ultimo è ancora molto dinamico negli Stati Uniti, dove i primi segnali di indebolimento si sono manifestati soltanto nelle ultime settimane, con un calo significativo delle offerte di lavoro. Questa inversione di tendenza non è ancora sufficiente a determinare una tregua degna di nota sul fronte dei salari, che il mese scorso sono nuovamente cresciuti di circa il 7% su base annua.
La vittoria della Banca Centrale statunitense sull’inflazione deriverà dalla recessione economica che sta innescando. Quest’ultima confermerà l’inversione di tendenza sul mercato occupazionale, e penalizzerà la domanda e la produzione. È la certezza del prossimo indebolimento economico che, in tempi molto brevi, indurrà la Fed a ridurre il vigore della sua stretta monetaria.
Questo momento sta iniziando a essere scontato dai mercati, che vedono nel calo dei tassi di interesse indotto dal rallentamento economico un buon motivo per tornare a investire nelle obbligazioni e nelle società che più probabilmente beneficeranno della stabilizzazione dei tassi di interesse.
Tuttavia, non lasciamoci trasportare dagli eventi: le pressioni inflazionistiche strutturali (demografiche, commerciali, sociologiche e relative all’equilibrio energetico) sono ancora presenti. Queste ultime, per diversi anni, dovrebbero impedire il ritorno duraturo dell’inflazione al di sotto della soglia del 2%, auspicato dalle Banche Centrali delle economie avanzate.