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L’equilibrio inizia a vacillare

Settembre 2019

Data di pubblicazione
2 settembre 2019
Tempo di lettura
3 minuto/i di lettura

Nella prima parte del 2019 i mercati erano stati guidati dal ritorno a un certo equilibrio, tra la prospettiva di rallentamento economico globale e l’annuncio di sostegno offerto dalle Banche Centrali. Alla fine dell’estate, questo equilibrio si è tuttavia indebolito.

È aumentato il rischio che le politiche di stimoli economici possano rivelarsi insufficienti per controbilanciare un rallentamento globale che tende ad accentuarsi. Infatti, gli indicatori anticipatori statunitensi indicano che il rallentamento globale si sta propagando oltreoceano. Ora, a differenza del 2016 (e a maggior ragione del 2009 e del 2012), la Cina non è chiaramente pronta a svolgere nuovamente il ruolo di locomotiva della ripresa globale.

Di conseguenza, tocca ormai alla politica monetaria statunitense condotta dalla Fed l’onere di evitare un rallentamento globale più marcato. Tuttavia, durante il suo discorso del 23 agosto, il Presidente della Fed non ha assolutamente lasciato presagire l’imminenza di un intervento decisivo di allentamento monetario.

L’equilibrio attuale è quindi minacciato dal ritardo che la politica monetaria statunitense potrebbe accumulare rispetto al rallentamento globale, e ciò giustifica il posizionamento prudente assunto dai mercati.

L’economia statunitense contagiata dal rallentamento globale

Al momento la resilienza dell’economia statunitense è in parte determinata dai classici “fattori di stabilizzazione” naturali : l’accelerazione del calo dei tassi d’interesse nel 2019 che ha sostenuto il mercato immobiliare, il calo dei prezzi delle materie prime, che ha aumentato il potere di acquisto, l’apprezzamento del dollaro che ha ridotto il costo dei prodotti importati.

Bisogna tuttavia tenere presente che questi fattori di stabilizzazione sono anche manifestazioni di un rallentamento economico che prende piede. Il calo dei rendimenti compromette la redditività degli istituti di credito, mentre l’apprezzamento del dollaro frena le esportazioni, aumenta le pressioni deflazionistiche e penalizza le economie emergenti.

Inoltre negli Stati Uniti altri importanti indicatori economici prospettici si sono già deteriorati, in particolare quello relativo agli investimenti delle imprese. Attualmente c’è motivo di temere che il livello di incertezza provocato dal modus operandi di Donald Trump nelle trattative con la Cina abbia definitivamente indebolito la fiducia dei top management delle imprese. Anche se attualmente un rapido accordo parrebbe nell’interesse di entrambe le parti, è difficile considerarlo uno scenario di riferimento affidabile, dati i rispettivi programmi politici e geostrategici.

La Germania in difficoltà

Il contagio del rallentamento generalizzato alla Germania è molto più diretto e più datato che negli Stati Uniti, pertanto più forte attualmente. La grande coalizione al potere in Germania sta già iniziando a contemplare un piano di stimoli fiscali. Purtroppo, la portata del piano previsto e le tempistiche previste sono in balìa del destino di una coalizione fragile, con conseguenti dubbi sulla sua attuazione ed efficacia a breve termine.

La notizia positiva per l’Europa di una politica fiscale tedesca a sostegno del ciclo economico rischia di giungere in ritardo.

La Cina non è più l’ancora di salvezza dell’Occidente

L’aspettativa che la Cina adotti misure di sostegno all’attività economica interna, con ripercussioni positive sulla crescita globale, sta svanendo. La nostra chiave di lettura di questo atteggiamento è che la Cina dispone di margini d’azione più ridotti rispetto alle fasi di rallentamento precedenti, e che a fronte delle sfide strategiche e delle relazioni con gli Stati Uniti decida di assumersi il rischio di un costo economico più alto a breve termine. Pare che la Cina possa mantenersi in modalità di “sopportazione del dolore” ancora per qualche tempo.

La Fed ancora esitante

In assenza di un piano di stimoli da parte della Cina, soltanto la Fed dispone di contromisure sufficienti che forse le consentirebbero di arginare l’aggravarsi del rallentamento economico globale. Ma si tratta della seconda delusione nelle ultime settimane: l’ipotesi di intervento della Fed non giustifica ancora l’annuncio di un ciclo completo di allentamento monetario.

La prospettiva che pare quindi delinearsi è quella del protrarsi del rallentamento economico globale, che innescherà misure significative di sostegno soltanto in ritardo.

Ripercussioni sulla strategia di investimento

Alla fine dell’estate, l’andamento dei mercati dimostra una buona efficienza: il deterioramento delle prospettive economiche globali è ampiamente scontato nel protrarsi del calo dei tassi a lunga scadenza, mentre gli investitori azionari hanno nettamente privilegiato i titoli difensivi e aumentato l’esposizione alla liquidità. Esiste quindi la probabilità di una ripresa tecnica. Conviene tuttavia mantenere un posizionamento strategico prudente, in particolare attraverso un’esposizione ridotta al rischio di fluttuazioni dei tassi d’interesse, e un portafoglio azionario ancora incentrato sui settori growth e dei consumi di base. La sovraperformance già realizzata da questi ultimi rende necessaria una grande selettività. Tuttavia, a condizione di operare in modo rigoroso, è ancora possibile trovare titoli che grazie alla visibilità sui risultati e alla redditività potranno continuare a registrare un andamento positivo.

Fonte: Bloomberg, 30/08/2019

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